Il 29-30 Settembre si è svolto presso Riva del Garda (TN) il 1° Convegno Nazionale “La classificazione ICF in Italia 2001-2009, esperienze e progetti a confronto” organizzato dal Centro Studi Erikson, con il patrocinio dell’Agenzia Regionale Sanità Friuli Venezia Giulia e del Disability Italian Network (DIN).
Il Convegno è stato preceduto da una giornata di formazione sull’ICF a cura del DIN.
L’intero Convegno è stato strutturato in sessioni plenarie alternate a workshop in parallelo aventi per tema grandi aree di interesse nello sviluppo e nell’applicazione dell’ICF: la riabilitazione, le politiche pubbliche, le politiche del lavoro, la scuola, la ricerca e l’università. La giornata conclusiva ha visto una sessione plenaria finale all’interno della quale sono state condivise le varie esperienze maturate nei workshop. Il Convegno si è contraddistinto per la grande varietà dei temi trattati, forse più sociali prima ancora che strettamente clinici, tutti collegati alla diffusione ed alle possibili aree di utilizzo del nuovo strumento promosso dall’OMS per la classificazione del funzionamento, della disabilità e della salute.
Si è trattato di fare il punto della situazione a circa dieci anni dalla ratifica (avvenuta nel 2001) dell’ICF da parte dell’OMS; stabilire quali progressi sono stati fatti nella diffusione, nell’utilizzo e nella formazione, quali sono le aree che presentano ancora particolare problematicità, e infine quali obiettivi possono essere identificati a breve e a media scadenza nell’implementazione teorica e pratica della Classificazione.
Il concetto base che ha rappresentato il filo conduttore delle due giornate riguarda la grande capacità euristica di questo strumento: la disabilità, secondo il nuovo modello biopsicosociale promosso dall’ICF, non è diretta conseguenza della menomazione, ma si realizza solo in caso di menomazione in ambiente sfavorevole. In tal senso non esistono categorie di disabili definibili a priori, dato che è l’ambiente, per sua natura modificabile, a conferire questa condizione. In potenza siamo tutti disabili, lo diventeremo in atto solo nel momento in cui le nostre capacità impatteranno con un ambiente sfavorevole. Questa visione orizzontale della disabilità, democratica e non ghettizzante, ci costringe a riflettere sulla responsabilità sociale: quanto stiamo lavorando per una società che non sia ad appannaggio dei cosiddetti “normali”? Quanto nei singoli campi (sanitario, sociale, educativo) c’è comunicazione per riuscire a modificare multilateralmente l’ambiente? Quale codice comunicativo condiviso può esistere per fra i vari settori della società in grado di creare una rete di assistenza intorno alla persona disabile?
Il cerchio si chiude: dal modello di riferimento si torna nuovamente all’ICF. È questo l’unico strumento ad oggi in grado di unire professionalità diverse sotto un unico linguaggio, è questo l’unico canale di cui disponiamo per poter descrivere un’immagine funzionale della persona che sia comprensibile in tutti i settori.
La necessità di pensare all’applicazione dell’ICF non solo come rosea utopia, ma come realtà improcrastinabile, deriva anche dalla ratifica avvenuta il 30 Marzo 2007 da parte del Parlamento Italiano della Convenzione Internazionale sui diritti delle persone con disabilità, che rende una convenzione delle Nazioni Unite legge italiana a tutti gli effetti. Per far rispettare i diritti delle persone disabili bisogna innanzitutto definire chi sono; per definire la disabilità secondo il modello biopsicosociale non si può prescindere dall’ambiente; ad oggi l’ICF è l’unico sistema di classificazione che abbiamo a disposizione in grado di rendere ragione in maniera olistica del funzionamento della persona tenendo conto anche i fattori ambientali.
Si può scommettere su quanto tempo occorrerà prima che l’ICF diventi pratica comune ed inizi ad essere il linguaggio con cui parlare del percorso di vita delle persone: rimane la certezza che, una volta condiviso il paradigma biopsicosociale, non è più possibile trattare solo il paziente prescindendo dalla persona. Da ora in poi è prevedibile solo un’evoluzione.
Samuele Bigazzi, fisioterapista di NeuroCare