Aspetti psicologici nella Sclerosi Laterale Amiotrofica

LA SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA E LE ALTRE MALATTIE DEL MOTONEURONE

La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) o Morbo di Lou Gehrig – dal nome del giocatore di baseball, il cui caso nel 1939 sollevò l’attenzione pubblica a riguardo, o Malattia di Charcot – dal nome del neurologo francese che per primo la descrisse nell’Ottocento – costituisce il caso più tipico di un ampio gruppo di affezioni degenerative e progressive del sistema nervoso, che interessano selettivamente i cosiddetti “neuroni di moto” (motoneuroni) – per questo etichettate, appunto, come Malattie del Motoneurone). Mentre la Sclerosi Laterale Primaria vede coinvolto soltanto il I motoneurone (a livello della corteccia cerebrale) e l’Amiotrofia Spinale (che comporta deficit di forza agli arti, al capo ed al tronco) o la Paralisi Bulbare Progressiva (che si manifesta con indebolimento dei muscoli mandibolari, faringei e linguali con conseguente difficoltà masticatoria e/o deglutitoria e difficoltà nell’eloquio) rappresentano l’espressione clinica dell’interessamento del solo II motoneurone (a livello del midollo spinale e del tronco encefalico, rispettivamente), la SLA colpisce sia il I sia il II motoneurone.

Nella popolazione generale si ammalano circa 8 persone su 100.000 (ogni anno mediamente un individuo), per lo più uomini ultrasessantenni. In Italia si contano oltre 5.000 casi.

Il disturbo evolve progressivamente fino all’esito fatale (per complicanze respiratorie) e la durata media della malattia, dall’esordio dei sintomi, è di 3-4 anni (anche se, a tutt’oggi, con il ricorso a diverse tecniche di sostegno delle funzioni vitali – nutrizionale/alimentare e respiratorio/ventilatorio è possibile prolungare notevolmente la vita dei malati).

La SLA è una malattia neurologica dalle cause ignote (nel 5% dei casi è familiare), caratterizzata da deficit di forza e da atrofia muscolare secondari al danno dei motoneuroni.

Sono state formulate molte ipotesi ed importanti studi hanno cominciato a svelare il mistero di questa malattia; tuttavia, vari interrogativi rimangono ancora senza risposta ed il meccanismo responsabile della degenerazione dei motoneuroni non è stato identificato. È ormai riconosciuto che la SLA sia multifattoriale, determinata cioè dal concorso di più circostanze:

  • predisposizione genetica che comporta alterazioni biochimiche e metaboliche a livello dei motoneuroni;
  • disfunzione mitocondriale e stress ossidativo con elevata produzione di radicali liberi;
  • eccesso di glutammato (un aminoacido utilizzato dai neuroni come segnale chimico) che determina un’iperattività dei motoneuroni che può risultare nociva (eccito-tossicità) per un’elevata concentrazione intracellulare di calcio;
  • carenza di fattori di crescita (sostanze prodotte naturalmente dal nostro organismo per sostenere le cellule nervose), che comporta sofferenza e morte dei motoneuroni;
  • eccesso di anticorpi che aggrediscono i motoneuroni;
  • fattori tossico-ambientali (come alluminio, mercurio, piombo ed alcuni veleni e pesticidi agricoli) che possono danneggiare le cellule nervose.

I SINTOMI
All’esordio i sintomi possono essere impercettibili e spesso sono ignorati o male interpretati, variando da persona a persona: è comune lamentare inizialmente stanchezza e progressiva perdita di forza, che può interessare qualsiasi tipo di movimento volontario.

Molti motoneuroni possono essere persi prima che i muscoli divengano deboli; questo accade perché le cellule nervose distrutte sono compensate da altre cellule nervose che rimangono funzionanti. Questa situazione di compenso spesso si mantiene per mesi o addirittura per anni e i primi segni della SLA compaiono solo quando la perdita progressiva dei motoneuroni supera la capacità di compensazione dei motoneuroni superstiti.

Nella maggior parte dei casi, l’indebolimento riguarda prima i muscoli delle mani (“mano di scimmia”) o dei piedi o delle braccia o delle gambe, e il paziente inavvertitamente lascia cadere oggetti, ha poca stabilità durante la deambulazione o trova difficoltà nelle semplici attività della vita quotidiana, come ad es. indossare abiti, abbottonarsi i vestiti o legarsi le scarpe o prendersi cura della propria igiene personale. Nel caso in cui vi sia un coinvolgimento dei motoneuroni del tronco encefalico, possono manifestarsi difficoltà nel parlare, nel masticare e nel deglutire.

Oltre alla debolezza, può aumentare il tono muscolare (spasticità) e si possono avvertire contrazioni muscolari involontarie (fascicolazioni), anche dolorose (crampi).

Quando vengono coinvolti i muscoli respiratori, possono comparire affanno (dispnea) dopo sforzi lievi e difficoltà nel tossire.
Generalmente non sono presenti disturbi della sensibilità, deterioramento intellettivo, né alterazioni della funzionalità intestinale o vescicale.

LA DIAGNOSI
La diagnosi di SLA rimane a tutt’oggi clinica: è basata principalmente sui sintomi/segni che il medico osserva nel paziente e su una serie di esami diagnostici utili per confermare la diagnosi ed escludere altre malattie. I medici considerano la storia clinica del paziente ed effettuano esami neurologici ad intervalli regolari per valutare se sintomi/segni (come la debolezza e l’atrofia muscolare, l’iperreflessia e la spasticità) diventino progressivamente peggiori.

Il quadro clinico tipico della SLA è costituito dall’associazione di sintomi/segni di lesione del I motoneurone (spasticità, labilità emotiva, clono, iperriflessia e riflessi patologici) e del II motoneurone (atrofia muscolare, ipostenia, ipotonia ed ipotrofia, fascicolazioni e crampi) nei quattro diversi distretti corporei (bulbare, cervicale, toracico e lombosacrale).

E’ quindi evidente che fare diagnosi di SLA non è semplice: ad oggi, non essendo disponibile alcun tipo di esame che consenta di accertare precocemente la presenza della malattia, è importante effettuare alcune indagini che escludono altre malattie neurologiche.

Tra gli esami da eseguire si annoverano:

  • elettromiografia (EMG) che conferma il sospetto clinico, in quanto permette di vedere se ci sono segni di sofferenza del II motoneurone (di solito si ripete periodicamente – specie se quantitativa – per seguire l’evoluzione del quadro morboso, e rappresenta l’esame più attendibile);
  • potenziali evocati (quelli motori per dimostrare la compromissione del I motoneurone, quelli sensitivi per escludere l’interessamento extramotorio);
  • esami del sangue e delle urine per escludere malattie infiammatorie, infettive, autoimmunitarie o tumorali;
  • risonanza magnetica nucleare (RMN) dell’encefalo e del midollo spinale per escludere altri tipi di malattie del sistema nervoso;
  • puntura lombare (rachicentesi) che consente di esaminare il liquor per escludere altre malattie neurologiche;
  • biopsia muscolare e/o nervosa nei casi più dubbi.

Un errore comune può essere quello di interpretare taluni segni clinici come espressione di un normale invecchiamento o come conseguenza di un periodo di stress psicofisico.

ASSISTENZA

Terapia medico chirurgica
Si sta facendo molto nell’ambito della ricerca sperimentale e clinica, anche attraverso trial terapeutici su vasta scala, ma per ora con scarsi risultati. Terapie in grado di far guarire i pazienti affetti da SLA o da altra malattia del motoneurone al momento, purtroppo, non esistono.

Non essendoci quindi una cura efficace, si cerca di trattare adeguatamente i vari sintomi/segni che il paziente manifesta progressivamente.

Lo scopo che accomuna tutti gli approcci terapeutico-assistenziali è quello di prolungare la vita e di preservarne la qualità.

Esistono dunque farmaci specifici per la terapia farmacologica sintomatica: dopaminergici contro l’affaticamento; miorilassanti per spasticità e crampi; anticolinergici per l’eccesiva salivazione (scialorrea); mucolitici per il catarro; antidepressivi per il ridotto tono dell’umore; ansiolitici per l’ansia ed ipnotici per il sonno; oppioidi e cannabinoidi per il dolore.

Questi farmaci sintomatici abitualmente vengono associati ad altri cosiddetti “patogenetici” (che cioè agiscono sul meccanismo di malattia), ad es. ad azione anti-eccitotossica, con il razionale di rallentarne la progressione. L’unico a tutt’oggi ufficialmente approvato è il RILUZOLO, commercialmente conosciuto come RILUTEK®, un antagonista del glutammato ad azione protettiva sulle cellule nervose: si assume per bocca due volte al giorno al dosaggio di 100 mg/die; periodici controlli ematochimici sono necessari nei primi mesi di trattamento per monitorare eventuali effetti collaterali sulla funzionalità epatica. Questa prima terapia specifica per la malattia offre la speranza che la progressione della SLA possa un giorno essere efficacemente rallentata da nuovi farmaci o combinazioni di essi.

Trattamento Riabilitativo
Oltre alla terapia farmacologica, sono di fondamentale importanza il trattamento riabilitativo motorio (ad es. fisiochinesiterapia e terapia fisica) e l’uso di ausili che hanno come scopo l’autonomia (fin dove possibile) e la sicurezza dei pazienti.

Infatti un esercizio aerobico di basso consumo energetico (come camminare, nuotare e andare in bicicletta) può rinforzare i muscoli non ancora coinvolti clinicamente e ritardare la comparsa delle complicazioni correlate con l’ipomobilità, migliorare la funzione cardiovascolare ed aiutare i pazienti a combattere l’affaticamento e la depressione. Diversi tipi di movimento ed esercizi di allungamento suggeriti ed esemplificati dal fisioterapista possono dare benefici motori. I terapisti occupazionali possono anche suggerire dispositivi come busti ortopedici, stampelle, sedie a rotelle, rampe, che aiutano i pazienti a conservare l’energia e la mobilità.

Nei pazienti che hanno difficoltà a parlare, vengono insegnate dal logopedista strategie e tecniche per aiutarli a parlare più forte e più chiaro. Col progredire della malattia si può suggerire l’uso di modalità comunicative alternative mediante ausili ad hoc quali gli amplificatori vocali, i dispositivi generatori di dialoghi (o propagatori vocali) e/o le tecniche base di comunicazione, quali tabelle alfabetiche.

Consigliati dai terapisti occupazionali, i comunicatori possono essere attivati mediante interruttori od emulatori di mouse, gestititi anche mediante piccoli movimenti, ad es., della testa, della dita o addirittura degli occhi (come nel caso dei comunicatori ad alta tecnologia a controllo oculare).

Alla comparsa di sintomi deglutitori, si interviene con la riabilitazione della disfagia. I pazienti ed i loro caregiver possono imparare da logopedisti e nutrizionisti come preparare piccoli pasti da assumere durante il giorno, che forniscano loro sufficienti calorie, fibre e liquidi, evitando gli alimenti difficili da deglutire.

Quando poi il paziente si aggrava ulteriormente, rischiando di non potersi più alimentare adeguatamente ed in sicurezza, viene allora consigliata la gastrostomia endoscopica percutanea (Percutaneous Endoscopic Gastrostomy, PEG).

Alla comparsa di sintomi ventilatori, si interviene con la ventilazione meccanica non invasiva (VMNI) che comporta l’utilizzo di dispositivi meccanici di assistenza ventilatoria (ventilatori) interfacciati con il paziente mediante maschere; allorché il deficit ventilatorio è di tale entità da non poter più essere gestito con la VMNI, si prescrive la tracheostomia per poter intraprendere la ventilazione meccanica invasiva permanente (VMI) che consente l’accesso diretto alle vie respiratorie.

Il trattamento dei pazienti con SLA deve iniziare subito, al momento della diagnosi, ed essere condotto da un’équipe riabilitativo-assistenziale multidisciplinare, costituita da neuroriabilitatore, pneumologo, foniatra, psicologo, fisioterapista, logopedista, terapista occupazionale, dietista, infermiere.

Non esiste una terapia unica per tutti i pazienti, ma è necessario personalizzarla caso per caso.

Il piano assistenziale infermieristico messo in atto per questo tipo di pazienti sarà di tipo educativo – di supporto per quanto riguarda il paziente ed il familiare che lo assiste nelle prime fasi della malattia (durante le quali si troverà a gestire i primi problemi motori, la difficoltà nel deglutire e nel parlare), mentre, con il progredire della malattia, si renderà necessario un piano assistenziale di tipo compensativo nei confronti del malato che non sia più in grado di rispondere autonomamente ai propri bisogni (necessitando di assistenza nella mobilizzazione, alimentazione, comunicazione e respirazione), ed ancora educativo nei confronti dei familiari che verranno istruiti sulla gestione della tracheostomia e della PEG, sul funzionamento dei ventilatori e delle pompe nutrizionali, sulle modalità di somministrazione di alimenti e farmaci, sull’igiene personale del paziente, la sua mobilizzazione e le posture corrette.

VIVERE CON LA SLA
Poiché non esistono ancora cure efficaci per guarire la SLA, l’obiettivo assistenziale è essenzialmente quello di rendere la vita della persona più semplice, più autonoma, più rispondente ai suoi bisogni e ai suoi desideri.

La presa in carico del malato deve avvenire precocemente, addirittura – se possibile – prima della diagnosi che in media viene posta con ragionevole sicurezza solo un anno dopo l’esordio della malattia. Da questo momento in poi l’équipe riabilitativa dovrebbe accompagnare il malato per tutto il decorso della malattia allo scopo di sostenerlo.

Non esiste un programma di trattamento standard: il malato (con il suo familiare/caregiver) deve essere coinvolto fin dall’inizio, e le scelte essere fatte insieme, in prospettiva delle esigenze che via via si presenteranno.

Fin dall’inizio devono essere stabiliti gli ausili necessari, e quindi effettuare le scelte adeguate.

In questa fase critica è essenziale il supporto psicologico.

La SLA modifica profondamente la vita: la persona sente in maniera angosciante che il corpo risponde sempre meno ai suoi bisogni, che non può più muoversi, non può più nutrirsi, non può più parlare, fino a sperimentare la drammatica sensazione di essere imprigionato. Il malato si mantiene quasi sempre lucido e nel pieno delle sue capacità cognitive, può amare e compiere scelte.

Vivere con la SLA è difficile; richiede una grande capacità di accettare il cambiamento, di affrontare giorno per giorno le difficoltà che si incontrano, di guardare con coraggio e fiducia alla possibilità di mantenere uno spazio di autonomia personale anche quando aumenta la dipendenza e il bisogno degli altri.

Ricevere una diagnosi di SLA è un evento traumatico, e comporta un forte cambiamento nella vita della persona, scatenando una serie di importanti reazioni psicologiche, sia a causa della prognosi fatale di questa malattia, sia per la progressiva perdita della capacità comunicativa e di autonomia complessiva che tendono a seguire. L’impatto emotivo di una diagnosi di tale portata rende necessaria un’attenta strategia di sostegno per far fronte alla situazione ed al suo declinarsi.

La presa in carico delle persone colpite da SLA rappresenta un impegno complesso: già nelle prime fasi della malattia il carico assistenziale familiare è rilevante e ricade soprattutto sul coniuge o su di un altro componente della famiglia. Nelle fasi avanzate, per continuare a vivere, i malati hanno bisogno di apparecchiature complesse, come il ventilatore per la respirazione artificiale, la pompa nutrizionale per l’alimentazione enterale, il computer per la comunicazione, e di cure specialistiche e continuative, che vengono per lo più fornite proprio dai membri della famiglia, istruiti dal personale sanitario sulle strategie e le tecniche di assistenza. L’équipe terapeutica, formata da figure professionalmente chiamate a rispondere ai bisogni di cura del paziente (medico di famiglia, neurologo, neuroriabilitatore, fisiatra, pneumologo, gastrenterologo, foniatra, infermiere, fisioterapista, dietista, terapista occupazionale, psicologo) deve costituire per quanto possibile un interlocutore unitario. Lo scopo è di mantenere più a lungo possibile la vita e di salvaguardare la sua dignità, nella maggiore qualità possibile, di supportare la famiglia nella difficile presa in carico del malato, di farsi portatori delle sue esigenze.

E’ necessario che il malato e la famiglia possano mantenere un rapporto di fiducia, sia reciproca, sia con l’équipe terapeutica, affrontando attraverso il dialogo e la mutua collaborazione le molte difficoltà del percorso.

Vivere con una persona che soffre di una malattia progressiva e fatale come la SLA comporta un fardello personale molto arduo (psicologico, sociale, economico) e la salute del caregiver viene messa a dura prova. Nelle fasi avanzate, la SLA provoca nel soggetto la perdita di autonomia richiedendo sempre più ore di assistenza e di sorveglianza con ulteriori costi emotivi ed economici. Gli equilibri personali e relazionali preesistenti sono fortemente provati dal decorso della malattia. La riorganizzazione (di spazi, di tempi e di ruoli) che si rende necessaria, nonché la richiesta crescente di un’assistenza sempre diversa, espone il caregiver, con l’intero sistema familiare a pressioni e contrasti.

Il burden deve essere amministrato con cura e possibilmente alleggerito e condiviso. Gli studi sul caregiving rilevano che il familiare, sottoposto ad uno stress notevolissimo e prolungato, sviluppa con più alta probabilità, stati pericolosamente elevati d’ansia e rischia di ammalarsi (in primis di depressione). Per questo deve essere aiutato (ascoltato, informato, formato praticamente, sostenuto nel tempo) per il bene proprio e per quello dell’assistito. Vedasi Percorsi formativi.

Aspetti psicologici nella Sclerosi Laterale Amiotrofica