La Sclerosi Multipla (SM), definita anche Sclerosi a placche, è una malattia infiammatoria cronica demielinizzante del sistema nervoso centrale (SNC) a patogenesi autoimmunitaria (Leary et al., 2005), descritta per la prima volta intorno alla metà del 1800 dal famoso neurologo francese Charcot.
Ancora oggi la sua eziologia non risulta completamente chiarita, anche se si tende a ritenerla multifattoriale, in quanto la malattia insorge in individui geneticamente predisposti in presenza di fattori ambientali favorenti.
La SM è caratterizzata dalla presenza nel SNC di aree di infiammazione, di demielinizzazione e di danno assonale, che portano alla formazione delle caratteristiche placche sclerotiche con tipica disseminazione nello spazio e nel tempo. Le manifestazioni cliniche sono eterogenee, così come il decorso clinico e la prognosi a lungo termine.
EPIDEMIOLOGIA ED EZIOLOGIA
Come già accennato, l’eziologia della SM risulta ancora oggi parzialmente sconosciuta, ed è proprio per questo che i dati epidemiologici hanno acquistato negli anni un ruolo sempre più importante. Infatti si è reso sempre più evidente come questi dati possano fornire, se non una risposta precisa su un probabile agente eziologico, un inquadramento sui possibili eventi o condizioni implicati nel determinismo della malattia (fondamentali in questo senso gli studi di Kurtzke et al., 2000).
Innanzitutto è stato riscontrato un rischio maggiore nella razza bianca ed una notevole disomogeneità nella distribuzione della prevalenza della malattia nelle varie zone del mondo; in particolare, la caratteristica che emerse fin dalle prime indagini fu che la frequenza diminuiva col diminuire delle distanza dall’equatore, cioè con la latitudine.
Proprio il fatto che la SM sia associata a particolari aree geografiche, piuttosto che a particolari gruppi etnici, ha fatto sì che in molti studi fosse sottolineata l’importanza di fattori ambientali, sostenendo quindi l’ipotesi di un’eziologia ambientale, ed in particolare di un agente infettivo.
Fra gli agenti infettivi sospettati come possibili fattori eziologici, o quantomeno scatenanti, della SM sono stati individuati, tra i virus, il virus herpes umano di tipo 6 (human herpes virus 6, HHV6) ed il virus di Ebstein e Barr (Ebstein-Barr virus, EBV). L’HHV6 è stato ampiamente indagato, perché provoca infezioni latenti e ricorrenti ed ha uno spiccato neurotropismo (Noseworthy, 1999; Lutton et al., 2004). Fra i batteri è stata data importanza all’infezione da Chlamidia pneumoniae. Per nessuno di questi è stato però dimostrato un chiaro nesso patogenetico. I responsabili potrebbero essere più agenti, ubiquitari e comuni (Sospendra et al., 2005).
Un altro fattore ambientale considerato coinvolto nello sviluppo della malattia è l’esposizione ai raggi UV, che può influenzare l’attività di cellule immunoregolatorie o la sintesi di vitamina D: questa ipotesi è stata formulata sulle osservazioni del gradiente di prevalenza di malattia dipendente dalla latitudine. L’azione dell’ambiente nell’influenzare lo sviluppo della malattia è stata anche collegata alla cosiddetta “hygiene hypothesis” secondo cui i bambini che sono esposti ad agenti infettivi solo in età più avanzata, come si verifica nei Paesi più sviluppati economicamente, sarebbero più suscettibili a sviluppare allergie e malattie autoimmuni (Weiss, 2002).
L’importanza di fattori genetici è stata indicata soprattutto dagli studi di aggregazione familiare.
E’ emerso che, in una popolazione di individui con un rischio generale di malattia dello 0,2%, il rischio sale al 3% nei parenti di primo grado ed all’1% nei parenti di secondo grado (Compston, 1997). Gli studi sui gemelli hanno messo in luce una concordanza di circa il 25% nei monozigoti, del 5,4% nei dizigoti e del 2,9% nei fratelli non gemelli (Willer et al., 2003). Alla luce degli studi effettuati non è stata comunque riscontrata una precisa ereditarietà nella genesi della SM, ma l’aumentata incidenza tra familiari spinge a considerare anche questo fattore. Gli studi di epidemiologia genetica hanno messo in risalto un’ ereditarietà di tipo poligenico.
Per quanto riguarda l’incidenza nei due sessi, come in tutte le malattie autoimmunitarie, si riscontra una maggior frequenza nelle femmine con rapporto maschi/femmine di 1:2 (Duquette et al., 1992; Minden et al., 1993; Jacobs et al.,1999), e decorso più frequentemente benigno nelle femmine (Zaffaroni et al., 2000): queste differenze non sono state ancora correlate con fattori genetici, ambientali o ormonali che possano influenzare diversamente la risposta autoimmunitaria. Rispetto all’età di insorgenza, invece, è tipica la curva che prevede una bassissima incidenza nei bambini (Bejar et al. 1984; Shaw et al. 1987; Cole et al., 1995; Ghezzi et al., 1997; Ruggieri et al., 1999), un aumento di rischio dopo l’infanzia con un picco intorno ai 30 anni, rischio che si mantiene fino ai 40 anni per poi diminuire e ritornare basso dai 60 anni in poi: la malattia infatti insorge 2 volte su 3 in pazienti tra i 20 e i 40 anni (Compston et al., 1998).
NEUROPATOLOGIA
L’elemento che caratterizza questa malattia è la presenza di placche di demielinizzazione multifocali a livello della sostanza bianca del SNC, aventi diametro variabile da meno di un millimetro a diversi centimetri. I neuroni sono apparentemente indenni (Lumsden, 1970).
E’ infatti l’oligodendrocita, costituente la mielina a livello del SNC, il principale bersaglio dell’attacco immunologico nella SM (Compston e Coles, 2002).
Per quanto riguarda la localizzazione, le lesioni hanno una predilezione per il nervo ottico, per la sostanza bianca periventricolare (nei tratti in cui le vene subependimali circondano i ventricoli), per la sostanza bianca del tronco cerebrale, del cervelletto e del midollo spinale, e generalmente circondano uno o più vasi di medio calibro (Noseworthy et al., 2000).
Lesioni demielinizzanti sono state riscontrate anche nella sostanza grigia, sia corticale, sia dei nuclei centrali, ed anche a livello della giunzione tra corteccia e sostanza bianca, sebbene con frequenza minore rispetto alle localizzazioni nella sostanza bianca (Brownell e Hughes, 1962; Kidd et al., 1999).
PATOGENESI
Uno degli approcci più comuni tende a considerare che il processo patologico della SM abbia alla base tre componenti: l’infiammazione, la demielinizzazione e la perdita assonale. Studi recenti hanno inoltre evidenziato la presenza di rimielinizzazione a livello delle lesioni.
La SM è prevalentemente una malattia infiammatoria mediata dai linfociti T, con attivazione ed ingresso nel SNC di linfociti T specifici contro gli antigeni della mielina (proteina basica della mielina, glicoproteina mielinica dell’oligodentrocita).
Per quanto riguarda il processo di demielinizzazione nella SM, esso può derivare da un danno diretto alla mielina da parte delle cellule infiammatorie, oppure da un danno indiretto operato dall’ambiente che si crea in conseguenza dell’infiammazione stessa. Da notare come si verifichi a livello lesionale un certo grado di remielinizzazione, anche se incompleta.
Il danno assonale sembra presentarsi fin dai primi stadi della malattia. La presenza di assoni danneggiati è stata dimostrata in placche demielinizzanti in fase di infiammazione acuta ed ai margini di lesioni attive croniche. Questa localizzazione in aree ove si riscontra infiammazione, demielinizzazione attiva e macrofagi suggerisce che il danno assonale, come la demielinizzazione, sia strettamente associato all’infiammazione (Ferguson et al., 1997).
DECORSO CLINICO
La SM è una malattia caratteristicamente ad andamento “recidivante-remittente” che nella maggioranza dei casi presenta un esordio brusco e successivamente un susseguirsi di episodi di repentino aggravamento (poussèes), intervallati da periodi di remissione più o meno completa.
Questa forma ha inizio in genere nella seconda o terza decade di vita ed è più frequente nel sesso femminile.
Nel singolo episodio (definito “ricaduta”) i sintomi in genere evolvono in un periodo di alcuni giorni, si stabilizzano e successivamente recedono nel giro di alcune settimane, spontaneamente o in risposta alla terapia corticosteroidea (Noseworthy et al., 2000). Gli episodi di disfunzione neurologica, dovuti a nuovi focolai di demielinizzazione o ad un aggravamento dei disturbi preesistenti, avvengono ad intervalli di tempo variabili, inizialmente con la media di uno all’anno e poi diminuendo stabilmente (Compston e Coles, 2002).
In base al decorso della malattia sono state individuate 4 forme cliniche principali di SM (Weinshenker et al., 1989; Runmaker et al., 1993; Lublin et al., 1996).
La SM recidivante-remittente (RR-SM) è la forma più frequente (85% dei nuovi casi) che presenta un susseguirsi di ricadute di malattia e successiva remissione più o meno completa della sintomatologia con intervalli tra una ricaduta e l’altra, in cui è presente stabilità delle condizioni cliniche; nelle fasi iniziali il paziente ha in media 2 ricadute l’anno, media che con l’andare del tempo diminuisce.
La SM primariamente progressiva (PP-SM) presenta una graduale e continua compromissione delle condizioni cliniche, salvo brevi e sporadici lievi miglioramenti o fasi di plateau, senza episodi acuti.
La SM secondariamente progressiva (SP-SM) presenta una prima fase con le caratteristiche della SM recidivante-remittente che poi sfocia in una forma progressiva; si calcola che circa il 50% delle forme recidivanti-remittenti evolva, dopo 10 anni dalla diagnosi, verso una SM secondariamente-progressiva.
La SM progressiva con ricadute è una forma progressiva sin dall’esordio, ma nella sua evoluzione presenta anche un susseguirsi di esacerbazioni acute.
SEGNI E SINTOMI
A causa della multifocalità delle lesioni e della possibilità di queste di presentarsi in qualsiasi sede del SNC, la SM è una malattia che può presentare manifestazioni multiple nel tempo e multiformi come tipo e grado di manifestazione clinica e relativo deficit neurologico. Il deficit neurologico è ovviamente legato alla sede anatomica della lesione, per cui è possibile osservare pazienti con lesioni di minima entità volumetrica, ma in una sede di importanza funzionale (e quindi con grave deficit); e pazienti con numerose o voluminose lesioni in “zone non eloquenti”, che non hanno quindi importanti deficit funzionali.
Analizzando i sintomi iniziali, in quasi il 50% dei pazienti la malattia esordisce con perdita di forza e senso di intorpidimento ad uno o più arti, accompagnati da formicolii e da un senso di costrizione a fascia al tronco. Successivamente si ha iperattività dei riflessi tendinei, segno di Babinski e scomparsa dei riflessi addominali: bisogna ricordare che spesso i pazienti presentano sintomi ad un arto inferiore e segni ad ambedue.
Nel 25% dei pazienti la SM esordisce con un episodio di neurite ottica retrobulbare, conseguente alla presenza di una placca di demielinizzazione all’interno del nervo ottico. Il paziente spesso nei giorni precedenti lamenta dolori orbitari, accentuati dai movimenti oculari o dalla palpazione del globo oculare, fino ad arrivare alla perdita parziale o totale della vista nel giro di qualche ora o qualche giorno. Nel 50% dei pazienti in cui si verifica neurite ottica retrobulbare è possibile riscontrare una papillite (edema della papilla del nervo ottico) che si verifica in dipendenza dalla vicinanza alla lesione demielinizzante.
In un terzo dei pazienti con neurite retrobulbare i sintomi regrediscono nell’arco di qualche settimana fino anche alla remissione, pur persistendo un’atrofia ottica; in oltre il 50% si svilupperanno successivamente altri segni di SM.
Gli altri disturbi che si possono riscontrare nel corso di un episodio di SM e che possono più o meno regredire o permanere nel tempo sono a carico:
– delle seguenti funzioni emozionali e cognitive (tono dell’umore euforico con scarsa tendenza a percepire la reale gravità dei disturbi (definito da Charcot “stupida indifferenza”); oppure tendenza alla depressione o all’irritabilità; frequente pure è il riscontro di un certo grado di deterioramento delle funzioni cognitive, specie della memoria e dell’attenzione);
– della sensibilità (per lesione del sistema lemniscale, che porta a parestesie e disestesie come formicolio, pizzicamento, senso di costrizione e di pelle cartonata agli arti o al tronco, sensazione di tela di ragno sul volto, parestesie termiche, dolori (come, ad es., nevralgia trigeminale) segno di Lhermitte);
– della motilità (per lesione del sistema piramidale, con paraplegia flaccida in concomitanza con un episodio acuto (raro l’interessamento di un singolo arto) e successivamente, se il danno diventa irreversibile, segni di paralisi centrale, ovvero debolezza, minor resistenza allo sforzo, ipertonia d’azione, segno di Babinski, abolizione dei riflessi addominali cutanei, iperreflessia tendinea e paresi spastica);
– della funzione cerebellare (sia per lesioni a carico delle vie spinali e tronco-encefaliche sia per lesioni della sostanza bianca cerebellare (atassia dinamica con ipotonia, dismetria e adiadococinesia, disartria, tremore intenzionale); non è infrequente riscontrare la cosiddetta “triade di Charcot” caratterizzata da nistagmo associato a parola scandita e tremore intenzionale);
– della funzione tronco-encefalica (oltre alle lesioni che si verificano nei fasci passanti da questa struttura (causanti sintomatologia piramidale, sensitiva e cerebellare) si hanno lesioni demielinizzanti che interessano le fibre dei nervi cranici tra nucleo ed emergenza dei nervi, le fibre internucleari e quelle sopranucleari: da esse deriva la sintomatologia di lesione tronco-encefalica caratterizzata da disturbi vestibolari centrali (vertigine rotatoria legata a cambiamenti di posizione ed accompagnata spesso da vomito, nistagmo, segno di Romberg positivo), paralisi dell’oculomozione (diplopia, nistagmo, paralisi della lateralità o della verticalità dello sguardo), disturbi della deglutizione, della fonazione, disturbi della sensibilità trigeminale, paralisi faciale periferica; in alcune forme avanzate si può avere la sindrome pseudobulbare per lesione bilaterale delle vie piramidali destinate ai nuclei dei nervi cranici bulbari (IX, X, XI) con conseguente paralisi centrale bilaterale degli omonimi nervi (paralisi velo-faringo-laringea con disfagia, rigurgito di liquidi dal naso, voce nasale, assenza del riflesso del velo palatino, anartria con impossibilità alla protrusione della lingua, accentuazione del riflesso masseterino, riso e pianto spastico per “liberazione” della mimica automatica); si possono inoltre associare paralisi faciale bilaterale sopranucleare e difetto dei muscoli masticatori, per alterazione delle vie cortico-nucleari destinate ai nuclei motori del faciale e del trigemino, e segni piramidali ai quattro arti);
– delle funzioni uro-genitali (presenti in caso di interessamento del midollo spinale, per cui si possono avere minzione frequente ed imperiosa o ritardo nella minzione (frequenti tra le prime manifestazioni di malattia), incontinenza urinaria (di solito tardiva), fecale (rara), stipsi (molto frequente), deficit erettivo (per localizzazione della malattia a livello del midollo sacrale); le alterazioni vescicali sono dovute al fatto che la vescica può essere incapace a trattenere l’urina, per cui tende a svuotarsi frequentemente causando minzione imperiosa, pollachiuria ed incontinenza, oppure incapacità a svuotare la vescica con svuotamento insufficiente e frequenti infezioni urinarie).
Oltre a questi disturbi è possibile la comparsa di manifestazioni parossistiche come l’epilessia, legata presumibilmente alla presenza della placca che, insieme all’area di edema circostante, costituisce un focolaio epilettogeno se si ritrova vicina alla corteccia cerebrale; o altri parossismi della durata di pochi secondi o minuti, ricorrenti nell’arco della giornata, come disartria e atassia, dolore parossistico e disestesia ad un arto, spasmi in flessione all’arto superiore e in estensione all’arto inferiore e bagliori intermittenti. Di solito questi parossismi sono la spia di una ricaduta, regrediscono completamente dopo giorni o settimane, e quasi mai si verificano nelle fasi iniziali di malattia (Victor, 2001; Cambier, 2002).
Per quantificare i deficit neurologici vengono in genere usate delle scale clinimetriche, dette appunto “scale di disabilità”. A tutt’oggi la più usata è la EDSS (Expanded Disability Status Scale) che comprende valori da zero (assenza all’esame neurologico di disfunzioni) a dieci (decesso per SM). Per assegnare al paziente un determinato punteggio è necessario valutare, mediante l’esame obiettivo neurologico, i vari sistemi funzionali, possibili bersagli della malattia: piramidale, cerebellare, sensitivo, tronco-encefalico, vescicale ed intestinale, visivo e mentale. A seconda del loro coinvolgimento, ad ognuno di questi viene associato un valore numerico, considerando l’assenza di interessamento patologico pari a zero: la somma dei valori così ottenuti permette di assegnare al paziente il punteggio della scala EDSS.
L’aspettativa di vita dei pazienti affetti da SM è solo lievemente diminuita rispetto alla popolazione generale, di circa 5-7 anni (Ebers, 2001).
Una delle caratteristiche della malattia è l’ampia variabilità nell’evoluzione finale da un paziente all’altro, passando dai casi cosiddetti benigni (“in cui il paziente rimane pienamente funzionale in tutti i sistemi neurologici dopo 15 anni dall’esordio della malattia” (Lublin et al, 1996) alle forme maligne in cui la malattia ha “un decorso rapido e progressivo, che porta ad una significativa disabilità in molteplici sistemi neurologici o a morte in un tempo relativamente breve dall’esordio” (Lublin et al., 1996).
DIAGNOSI
Poiché una caratteristica fondamentale della SM è che le lesioni si presentano disseminate nello spazio (ovvero colpiscono siti anatomici differenti) e nel tempo, ottenere un’evidenza oggettiva di disseminazione nello spazio e nel tempo è essenziale per poter porre una diagnosi sicura. Quindi nella valutazione del paziente è essenziale considerare il numero di “attacchi” (cioè episodi di deficit neurologico della durata di almeno 24 ore, separati tra loro da almeno 30 giorni) e l’evidenza clinica oggettiva della presenza di lesioni in siti anatomici diversi.
La diagnosi di SM, oltre che dell’obiettività clinica, si avvale anche dei dati di laboratorio (esame del liquor) e di quelli strumentali (risonanza magnetica (RMN) e potenziali evocati).
TERAPIA
Gli obiettivi clinici di una terapia efficace nella SM sono i seguenti (Kieseier et al., 2003): 1) la prevenzione della disabilità dovuta alla progressione della malattia; 2) la riduzione di frequenza, gravità e durata delle ricadute; 3) la risoluzione dei sintomi; 4) la promozione del processo di riparazione che ripristini le funzioni.
Per questo la terapia della SM differisce a seconda delle fasi di malattia e si divide in tre categorie:
1) Terapia della fase acuta: è indirizzata verso l’attenuazione di gravità e di durata dei disturbi neurologici della singola ricaduta.
I farmaci di scelta sono i corticosteroidi: Metilprednisolone (URBASON, SOLUMEDROL), Desametazone (DECADRON), Betametasone (BENTELAN), Prednisone (DELTACORTENE), Prednisolone (SOLUDACORTIN, CORTISOLONE), ACTH (SYNACHTEN) somministrati per via orale o parenterale. Questi farmaci, pur intervenendo positivamente a breve termine sulla ricaduta, non modificano l’evoluzione della lesione che è alla base della ricaduta stessa.
2) Trattamento di fondo: questa terapia cerca di modificare l’evoluzione e la storia naturale della malattia riducendone l’attività e/o ritardando la progressione della disabilità neurologica. Si divide in terapia immunomodulante, immunosoppressiva ed in nuove strategie di intervento.
A. Terapia immunomodulante: utilizza farmaci che agiscono a vari livelli dei processi di regolazione del sistema immunitario, senza determinare mai un’immunosoppressione generalizzata.
I farmaci di uso più frequente sono i seguenti.
Interferone -β β IFN-β ricombinante (IFN-β 1a: REBIF, AVONEX; IFN-β 1b: BETAFERON) in 3 formulazioni diverse per dose e frequenza di somministrazione. Studi clinici hanno dimostrato l’efficacia dell’IFN nel ridurre la frequenza e la gravità delle ricadute delle SM recidivanti-remittenti e secondariamente progressive, il numero di lesioni attive alla RMN e l’accumulo di disabilità nelle SM recidivanti-remittenti, e pertanto la riduzione della progressione di malattia. La terapia deve essere iniziata precocemente per evitare l’aggravamento della disabilità e l’ingresso nella fase progressiva, perché è stato riscontrato che il danno assonale irreversibile è un evento precoce della SM, e perché i trial clinici hanno dimostrato che trattamenti precoci hanno un’efficacia maggiore di quelli ritardati. La terapia con questi agenti è a lungo termine e, sebbene generalmente siano ben tollerati, possono verificarsi vari effetti collaterali, talvolta così gravi da dover sospendere la terapia stessa.
L’effetto collaterale più frequente è la comparsa di una sintomatologia simil-influenzale, che si verifica in circa il 60% dei pazienti, e si caratterizza per una combinazione di febbre, mal di testa, stanchezza, brividi e malessere. Questi sintomi compaiono dopo 2-6 ore dall’iniezione e recedono nell’arco di 24 ore: per prevenire queste manifestazioni è comunemente consigliata l’assunzione di farmaci anti-infiammatori non steroidei prima dell’iniezione ed eventualmente in seguito.
Nel caso di somministrazione per via sottocutanea si possono osservare reazioni nella sede di iniezione, che vanno da eritema e dolore, fino ai casi più rari di necrosi cutanea che deve essere trattata tempestivamente con terapia antibiotica, ed eventualmente necessita l’interruzione della terapia o il passaggio alla somministrazione intramuscolare.
Il trattamento con IFN può essere responsabile della comparsa di una sintomatologia di tipo depressivo o accentuarne la gravità in pazienti già affetti. Inoltre si possono verificare anomalie negli esami di laboratorio, che in genere sono lievi ed asintomatiche per il paziente, tra cui leucopenia, neutropenia, linfopenia ed aumento delle transaminasi: per questo nel corso della terapia sono consigliati periodici controlli ematochimici.
Glatiramer acetato o Copolimero 1 (COPAXONE) è il sale acetato di una miscela di polipeptidi sintetici costituiti da 4 aminoacidi (L-alanina, L-acido glutammico, L-lisina, L-tirosina) e mima la proteina basica della mielina, proteina ritenuta l’antigene responsabile della produzione di linfociti T autoreattivi.
Viene somministrato, in dosi da 20 mg giornaliere sottocutanee, a pazienti con SM recidivante-remittente e minimo danno neurologico, nei quali riduce la progressione della disabilità; è stata notata inoltre una riduzione della frequenza delle ricadute.
Gli effetti collaterali più comuni del Glatiramer acetato sono reazioni nel sito di iniezione, reazioni sistemiche in seguito alla somministrazione, dolore toracico e linfoadenopatia. Le reazioni nella sede di iniezione comprendono eritema, infiammazione, indurimento e dolore. Si può anche manifestare atrofia del tessuto grasso, dovuta ad un deterioramento delle cellule adipose sottocutanee, che si presenta come una lieve depressione cutanea. Immediatamente dopo la somministrazione, in circa il 10% dei pazienti, si manifestano reazioni sistemiche, caratterizzate da arrossamento, da vasodilatazione, dolore toracico, palpitazioni, ansietà, dispnea, senso di costrizione alla gola ed orticaria. Questi sintomi possono durare da 30 secondi a mezz’ora, ma recedono spontaneamente e non richiedono trattamento. Dolore o senso di costrizione toracica transitori si verificano in circa il 20-25% dei pazienti, ma non sono associati ad eventi ischemici cardiaci, come dimostrato da registrazioni ECG.
B. Terapia immunosoppressiva: si avvale di farmaci che causano un’immunosoppressione generalizzata, con generale riduzione delle cellule immunocompetenti.
I farmaci usati più frequentemente sono i seguenti.
Mitoxantrone (NOVANTRONE) derivato dell’antraciclina che si lega al DNA provocando la rottura della doppia elica e la sua aggregazione, inibendo così la sintesi sia di DNA sia di RNA e determinando la formazione di radicali liberi.
Somministrato in dosi di 12 mg/m² e.v. ogni 3 mesi per 2 anni, oppure di 20 mg/m² una volta al mese per 6 mesi (senza superare la dose massima di 140 mg/m²) riduce l’attività di malattia e la progressione della disabilità neurologica.
Il farmaco rappresenta l’unico immunosoppressore autorizzato in tutto il mondo in caso di SM attiva con accumulo di disabilità, di SM progressiva e nel caso di forme non responsive alle altre terapie.
E’ generalmente ben tollerato alle dosi soprariportate ed i più comuni effetti collaterali sono: nausea, vomito, cefalea, alopecia, disordini mestruali, infezioni delle vie urinarie, mucositi, diarrea, leucopenia, vomito e necrosi da stravaso locale (Edan et al., 1997; Millefiorini et al., 1997). Il Mitoxantrone ha una cardiotossicità cumulativa al dosaggio di 120 mg/m². Le alterazioni cardiache indotte dal farmaco sono più comuni e compaiono a dosaggi complessivi inferiori in quei pazienti con storia personale di cardiopatie, pregresse terapie con antracicline ed irradiazione mediastinica. Per precauzione prima di somministrare il farmaco, e successivamente ogni 3 mesi, è necessario eseguire un ECG ed un ecocardiogramma. Durante tutto il periodo del trattamento devono essere controllati inoltre i valori dei leucociti ematici ed il profilo biochimico completo.
Azatioprina (IMURAN) è un antimetabolita nucleosidico derivante dalla 6-mercaptopurina ed agisce inibendo la sintesi della purina, del DNA, del RNA e di glicoproteine di membrana. In alcuni studi è stata riscontrata la sua azione sopprimente la reazione di ipersensibilità cellulomediata ed inducente alterazioni nella produzione di anticorpi.
Viene somministrata per anni in dosi di 2,5 mg/Kg/die per os con lo scopo di mantenere i leucociti sotto i 3.000/mm³. L’azione immunosoppressiva inizia solo dopo 3-6 mesi di terapia. L’effetto è a lungo termine (mesi, fino a 3 anni): si riscontra una modesta riduzione delle ricadute ed un rallentamento nella progressione della disabilità. È stato inoltre dimostrato che è efficace nel ridurre le aree attive di lesione visibili alla RMN.
Gli effetti indesiderati sono l’intolleranza gastrica, l’alterazione della funzione epatica con aumento delle transaminasi, anemia, linfopenia e rischio a lungo termine di sviluppare neoplasie, in particolare linfomi (Yudkin et al., 1991).
Ciclofosfamide (ENDOXAN) agente alchilante che ha azione sia sull’immunità umorale sia su quella cellulare: azione citotossica ed immunosoppressiva.
Il farmaco riduce in maniera per lo più transitoria l’attività e la progressione della malattia e viene utilizzato, in boli e.v. da 1g/m² ogni mese per 6 mesi, in pazienti con SM ad evoluzione rapidamente progressiva e refrattaria ad altri trattamenti, in particolare in pazienti con meno di 40 anni con forme secondariamente progressive. Tra gli effetti indesiderati possiamo riscontrare nausea, vomito, cefalea, ulcerazioni della mucosa orale e gastro-intestinale con predisposizione alle infezioni, cistite emorragica, alopecia, sterilità (talora permanente), mielosoppressione, aritmie e scompenso cardiaco ed un rischio a lungo termine di sviluppare neoplasie maligne (Weiner et al., 1993).
Metotrexate (METHOTREXATE) potente inibitore della diidrofolatoreduttasi con effetti sulla sintesi delle purine, effetto antinfiammatorio, immunosoppressivo ed immunoregolante.
Viene somministrato in formulazione orale a basse dosi (7,5-10 mg/settimana) in pazienti con forme progressive di SM, soprattutto le forme secondariamente progressive che rispondono meglio alla terapia, ed è stata riscontrata una modesta efficacia con rallentamento della progressione della disabilità ed una tendenza alla riduzione delle ricadute. Tra gli effetti indesiderati si annoverano: fibrosi epatica, polmonite asettica e rischio di sviluppo di neoplasie nell’uso a lungo termine (Goodkin, 1995).
Ciclosporina (SANDIMMUN) si tratta di un polipeptide ciclico ad azione immunosoppressiva selettiva verso cloni linfocitari in attiva replicazione per stimoli antigenici specifici. Il suo utilizzo per ora è rivolto soprattutto a pazienti con SM progressiva.
Il suo modesto effetto terapeutico contrasta con una significativa tossicità, in particolar modo renale, che rende il rapporto rischio/beneficio sfavorevole per il paziente (The Multiple Sclerosis Study Group, 1990).
Nuove strategie di intervento
Natalizumab (TYSABRI) è un anticorpo monoclonale approvato negli Stati Uniti ed in Europa per il trattamento della SM recidivante-remittente e di altre malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide ed il morbo di Crohn. Legandosi alla proteina di membrana β4-integrina, il Natalizumab blocca la fuoriuscita dei linfociti T dai vasi sanguigni, con conseguente inibizione del loro ingresso nel tessuto nervoso attraverso la barriera emato-encefalica, proteggendo così la mielina dai danni dell’infiammazione.
Il farmaco si assume per via endovenosa ogni quattro settimane. L’infusione dura circa un’ora, terminata la quale inizia un periodo di osservazione della durata di un’altra ora per valutare l’insorgenza di eventuali effetti collaterali che potrebbero richiedere l’intervento di un medico.
Il TYSABRI è stato autorizzato per il trattamento di pazienti con SM recidivante-remittente che non abbiano risposto ad un ciclo terapeutico completo e adeguato con le terapie immunomodulanti attualmente approvate per la SM recidivante-remittente. Può essere prescritto anche a pazienti con SM recidivante-remittente grave a rapida evoluzione (anche non precedentemente trattati con farmaci immunomodulanti od immunosoppressori).
Negli anni scorsi la fornitura sul mercato ed in tutti gli studi clinici del TYSABRI fu sospesa per un certo periodo di tempo per motivi di sicurezza. La decisione si basò sul rapporto di due gravi eventi avversi che si presentarono in pazienti trattati con TYSABRI in associazione ad AVONEX nel corso di sperimentazioni cliniche: si verificarono infatti negli Stati Uniti due casi (il primo deceduto dopo due mesi circa dall’esordio) di leucoencefalopatia multifocale progressiva, una rara malattia demielinizzante subacuta, frequentemente mortale, che di solito si osserva in soggetti immunodepressi, causata da un virus appartenente al gruppo dei Papovavirus (denominato virus JC). Al momento non è disponibile un trattamento efficace per questa malattia, anche se ridurre lo stato di compromissione del sistema immunitario può ritardarne o arrestarne la progressione.
Invero non si conosce il rischio reale di questo evento avverso al di fuori degli studi clinici: si è stabilito che il rischio di sviluppare la leucoencefalopatia multifocale progressiva è di un caso su 1.000 persone in trattamento con il TYSABRI: da notare, però, che tutti i casi accertati si sono verificati in persone che, insieme con il TYSABRI, avevano assunto anche l’AVONEX.
Inoltre sono stati riportati dai diversi studi clinici altri effetti collaterali del trattamento con Natalizumab, anche a distanza di mesi, come, ad es., una maggiore frequenza di infezioni (urinarie e nasofaringee), cefalea, stanchezza, dolori articolari, vomito, orticaria.
Trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche questo trattamento si basa su un’estrema immunosoppressione con farmaci immunosoppressori ad alte dosi seguita da trapianto di cellule staminali autologhe per sopperire alla mielosoppressione che ne deriva.
L’ obiettivo è quello di sopprimere l’attività della malattia riscontrabile alla RMN per la possibilità che hanno le cellule staminali trapiantate di non esprimere più cloni autoreattivi. È una tecnica ancora sperimentale da attuare in centri selezionati e con specifica esperienza.
Gli effetti indesiderati sono un aumento del rischio di infezioni ed una mortalità del 5%: per questo si riserva il trattamento ai pazienti con forme di malattia particolarmente aggressive (marcata attività, rapida progressione, gravità clinica) e non responsivi ad altri trattamenti (Fassa et al., 2000).
3) Terapia sintomatica
M igliorando i sintomi e le complicanze della malattia con una combinazione di terapie riabilitative e farmacologiche si può migliorare la qualità di vita del paziente con SM (Clanet e Brassat, 2000). I sintomi che maggiormente richiedono un intervento terapeutico sono: la spasticità, l’ipostenia, la fatica, il tremore, disturbi parossistici, il dolore, la disfunzione vescicale ed intestinale, la disfunzione sessuale ed i disturbi psichici.
Dott.ssa Elisabetta Girò