Il trauma cranico

Un trauma cranico è un infortunio che coinvolge il cuoio capelluto e il cranio, fino ad interessare il cervello.

Ogni anno milioni di persone subiscono un trauma cranico: nella maggior parte dei casi si producono effetti poco rilevanti, in quanto gli urti e i colpi sono attutiti dalle ossa del cranio e dagli strati di tessuto contenenti il liquido cerebrospinale (liquor) che circondano e proteggono il cervello.. L’incidenza del trauma cranico in Europa è stimata annualmente attorno ai 235 casi per 100.000 abitanti. In Italia 150.000 persone ogni anno vengono colpite da cerebrolesioni dovute a traumi cranici. Essi causano più mortalità e inabilità di tutte le altre condizioni neurologiche prima dei 50 anni d’età.
Circa il 75% sono causati da incidenti stradali: la prima causa di morte dei giovani fra i 15 ed i 20 anni. Altre possibili cause di trauma cranico sono le cadute accidentali, gli incidenti domestici, sportivi o sul lavoro, le aggressioni. Infine, molto rari in Italia, i traumi cranici da arma da fuoco, da deflagrazione o causati da arma da taglio, che invece in altri Paesi possono rappresentare fino al 40% del totale dei traumi.

Nel 1966, Goldsmith ha classificato tre principali meccanismi che possono generare un trauma cranico:
1. Collisione tra il cranio ed un oggetto solido ad un’apprezzabile velocità.
2. Un rapido movimento del cranio senza un significativo impatto fisico (lesioni da accelerazione e decelerazione).
3. Un meccanismo statico (da compressione).

Un trauma cranico può comprendere:

  • lesioni al cuoio capelluto;
  • fratture al cranio: in questo caso il trauma comporta la rottura delle ossa della testa (trauma cranico aperto);
  • commozione cerebrale (o concussione): è causata dallo scuotimento del cervello a seguito dell’urto;
  • contusioni e lacerazioni al cervello: si tratta di una lesione del cervello con versamento emorragico e conseguente rigonfiamento;
  • accumulo di sangue all’interno del cervello oppure tra il cervello e il cranio (ematoma intracranico): si ha nel caso in cui un versamento emorragico nel cervello si accresce fino a formare un accumulo di dimensioni sensibili; l’ematoma può creare una compressione sul cervello causando un’ernia cerebrale, cioè una protrusione anomala del tessuto cerebrale attraverso un’apertura tra le divisioni meningee intracraniche; l’ernia comprime il tessuto cerebrale, danneggiandolo;
  • danni diffusi al cervello (danno assonale diffuso): consiste nella distruzione degli assoni che collegano tra loro i neuroni.

Può succedere che il cervello non subisca danni nonostante siano presenti ferite al cuoio capelluto e al cranio. Viceversa, a seconda del tipo di trauma, il cervello può subire importanti lesioni anche in assenza di ferite esterne o fratture.
Il danno da trauma cranico può interessare un’area del cervello (trauma cranico focale), oppure può coinvolgere più di un’area cerebrale (trauma cranico diffuso).

I SINTOMI
I sintomi e le conseguenze del trauma cranico dipendono dalla gravità del trauma e possono verificarsi immediatamente o svilupparsi lentamente dopo qualche ora. Alcune sono subito evidenti, quando sono presenti ferite alla testa o fratture al cranio, altre possono non essere immediatamente visibili.

I traumi cranici lievi possono essere asintomatici; molto spesso provocano cefalea e vertigini. Talvolta possono causare un leggero stato confusionale, nausea e vomito.
In caso di commozione cerebrale, un sintomo frequente è la perdita di coscienza per un breve periodo, oppure uno stato confusionale e l’amnesia riguardo all’incidente o agli istanti che l’hanno preceduto. Talora possono sopravvenire affaticamento, vuoti di memoria, incapacità di concentrarsi, insonnia, alterazioni cognitive, irritabilità, depressione ed ansia. Questi sintomi sono noti con il nome di sindrome post-concussiva.

I traumi cranici gravi possono presentare gli stessi sintomi ma più intensi. Possono accompagnarsi ad una perdita di coscienza durante o subito dopo il trauma, con durata diversa a seconda dei casi: da pochi secondi fino a diversi giorni.
Si possono presentare ulteriori sintomi quali convulsioni, perdita dell’equilibrio, difficoltà nella coordinazione. Possono risultare compromesse temporaneamente o talvolta in modo permanente la capacità di pensare, di controllare le emozioni, di muoversi, di parlare, di vedere, di udire e anche di ricordare.
In caso di frattura alla base del cranio, può verificarsi fuoriuscita di liquor o di sangue dal naso o dalle orecchie.

In caso di ematoma intracranico, oltre a quanto precedentemente descritto, possono essere presenti dei sintomi specifici che indicano l’aumento della pressione all’interno del cranio, quali l’intensificarsi dell’emicrania, stato confusionale, abbassamento del livello di coscienza, vomito. Successivamente può presentarsi la perdita di ogni reattività.
L’ernia cerebrale si manifesta con segni clinici di ipertensione endocranica (ad es. le pupille non reagiscono più alla luce). Possono comparire paralisi, coma, disturbi del ritmo cardiaco e del respiro fino all’arresto cardiorespiratorio.

Cefalea (isolata o nel contesto di sindromi dolorose che interessano vari distretti corporei), nonché sindromi epilettiche possono costituire esiti del trauma cranico, variamente associate a deficit sensorimotori e/o cognitivo/comportamentali.

DIAGNOSI
La diagnosi è basata sui sintomi/segni e sui risultati degli esami strumentali e di laboratorio. I medici controllano immediatamente se la persona infortunata è cosciente e se risponde alle sollecitazioni. Attraverso un accurato esame neurologico valutano le risposte oculari, motorie e verbali: verificano, ad es., la capacità di aprire gli occhi autonomamente, di muovere gli arti, di esprimersi e di comprendere; la coordinazione ed i riflessi.
La Scala di Glasgow (o Glasgow Coma Score, punteggio del coma di Glasgow o semplicemente GCS) è uno strumento che consente la valutazione della funzione neurologica e rappresenta lo standard di riferimento per molti protocolli terapeutici: il punteggio massimo è 15 e il minimo 3 (che indica una gravissima compromissione dello stato di coscienza).
Generalmente, la condizione clinica è classificata come

  • grave (GCS ≤ 8)
  • moderata (GCS 9-13)
  • lieve (GCS ≥ 14).

La radiografia (RX) consente di apprezzare la presenza di fratture craniche e/o cervicali.

Nel caso in cui, in base alla visita effettuata, si ipotizzi una lesione cerebrale, sarà necessario effettuare una TC (Tomografia computerizzata) o una Risonanza magnetica (RM o RMN): la seconda è superiore alla prima nel dettaglio neuroanatomico, anche se di esecuzione più lunga e più costosa.

ASSISTENZA

Trattamento medico-chirurgico
Durante la fase acuta, i medici si occupano di monitorare e stabilizzare i parametri vitali, suturano e bendano eventuali ferite, procedono ad un accurato esame delle funzioni cardiorespiratorie, dello stato di coscienza, delle funzioni sensoriali/sensitive e motorie.

Nel caso di trauma cranico lieve, nelle prime 24 ore, i medici controllano il paziente ad intervalli di alcune ore, per escludere la comparsa di sintomi potenzialmente pericolosi che necessitino di un intervento tempestivo (ad es. convulsioni, vomito, dispnea, forte cefalea, aumento o persistenza della sonnolenza, confusione mentale, perdita di sensibilità o incapacità di muovere gli arti, perdita dell’equilibrio, perdita di coordinazione, incapacità di riconoscere le persone o i luoghi circostanti, disturbi del linguaggio o della vista, perdita dal naso o dalle orecchie di liquor).

In caso di trauma cranico grave, la testa, il collo e la colonna vertebrale vengono immobilizzati; la testiera del letto può essere rialzata per diminuire la pressione all’interno del cranio sul cervello. Temperatura, pressione arteriosa, polso, livelli di ossigeno e anidride carbonica e parametri neurologici vengono tenuti sotto controllo. Possono inoltre essere somministrati farmaci antidolorifici, antiepilettici, ed eventualmente anche sedativi, al fine di limitare l’attività muscolare che può essere pericolosa. Può essere introdotto all’interno del cranio un misuratore di pressione ed eventualmente, al fine di ridurre la pressione sul cervello, un catetere nei ventricoli cerebrali. In alcuni casi, potrebbe essere necessario l’intervento chirurgico: TC o RMN consentono di stabilire l’operabilità potenziale degli ematomi intracranici.

In caso di frattura del cranio, se le ossa risultano allineate, non è richiesto trattamento; se invece è presente un affossamento dei frammenti, è necessaria la neurochirurgia, in quanto risulta possibile una lacerazione dei vasi sanguigni.

Trattamento riabilitativo
Nel caso in cui la persona che ha subito un trauma cranico presenti un recupero solo parziale delle proprie capacità, sarà necessario un percorso riabilitativo finalizzato ad affrontare i postumi del trauma.

Le conseguenze di un trauma cranico possono riguardare differenti funzioni; la tipologia e la gravità dipendono dall’area e dall’estensione del danno. Di conseguenza gli interventi di riabilitazione saranno differenziati: può essere necessaria riabilitazione motorio-sensoriale e/o cognitiva.

In caso di esiti motori (deficit di forza agli arti, al collo o al tronco, variamente associati) è opportuno effettuare mobilizzazione passiva e/o esercizi attivo/assistiti relativamente ai distretti corporei indeboliti, insieme con training funzionale degli arti superiori e/o della deambulazione (preceduti, se necessario, da esercizi per il controllo del tronco in posizione seduta e eretta). In alcuni casi può essere opportuno praticare riabilitazione dei deficit sensitivi focali o diffusi, nonché delle funzioni sensoriali (acustiche e/o visive), allo scopo di migliorare i disturbi posturali e dell’equilibrio eventualmente presenti.

Relativamente alla sfera cognitiva, potrà essere opportuno intervenire sui deficit dell’attenzione, della memoria, delle capacità di riconoscimento degli stimoli (agnosie), delle funzioni motorie superiori (aprassie), del linguaggio (afasie), delle capacità logico-astrattive e di ragionamento.

Le conseguenze comportamentali (isolamento sociale, irritabilità, disinibizione, incongruità emozionali, apatia) dell’evento traumatico possono essere trattate in modo integrato utilizzando sia l’approccio relazionale sia quello farmacologico. Possono rivelarsi efficaci interventi di reinserimento lavorativo e/o sociale, nonché terapie integrative e/o complementari, individuali o di gruppo, protratte in modo continuativo nel tempo.

Vivere con gli esiti del trauma cranico
Al momento del ritorno a casa, dal punto di vista pratico, è importante prepararsi preventivamente alla gestione di alcuni aspetti concreti specifici:

  • eventuale necessità di assistenza infermieristica;
  • adeguatezza degli spazi domestici alle comuni attività della vita quotidiana coadiuvate da vari tipi di ausili;
  • utilizzo di ortesi ed ausili;
  • eventuali emergenze mediche o neurologiche.

Poiché ogni trauma cranico è diverso dall’altro, è impossibile prevederne l’evoluzione degli esiti. Di solito nell’immediatezza i miglioramenti clinici sono più rapidi, mentre rallentano con il passare del tempo: entro i primi 6 mesi dopo traumi cranici gravi si assiste al miglioramento più evidente, anche se progressi minori continuano per anni.
Si parla di un buon recupero funzionale quando la persona presenta difficoltà sensorimotorie e/o cognitivo/comportamentali residue di lieve entità ed è in grado di riprendere una vita autonoma. Altrimenti, se il deficit residuo è maggiore, si parla di disabilità moderata, grave o gravissima e l’assistenza fornita dal caregiver dovrà essere, a seconda, intermittente o costante.

In ogni caso è importante che il soggetto traumatizzato apprenda gradualmente a potenziare le abilità residue, utilizzando tutte le proprie risorse. La capacità di recupero è strettamente connessa al contesto familiare e sociale ed alle possibilità concrete di riabilitazione e di reinserimento. I progressi possono essere rilevanti ma inizialmente impercettibili anche ai familiari; per questo è fondamentale sostenere nel tempo tutto il percorso di riconquista dell’identità della persona con trauma cranico con attività altamente motivanti (e quindi condivise/partecipate negli obiettivi), risocializzanti, potenzianti delle funzioni compromesse.

In questo cammino, il ruolo del caregiver può essere determinante e deve essere sostenuto con una qualificata formazione ed informazione sugli interventi più opportuni da approntare e le strategie più idonee da adoperare, per realizzare un aiuto valido e anche sostenibile nel tempo.

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