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VIVERE CON LA DEMENZA

logoaimaIl trattamento della demenza comprende, come si è visto, una serie di interventi, farmacologici e non farmacologici, rivolti al controllo dei deficit cognitivi, ma altresì alla cura dei sintomi non cognitivi; al miglioramento delle condizioni di vita del soggetto e della sua famiglia; all’informazione e al sostegno, per tutto il decorso della malattia; della rete affettiva di base che vi si trova coinvolta.

Parlare di una buona qualità di vita nella situazione di progressiva invalidità cognitiva che si prefigura potrebbe apparire utopico: eppure è possibile vivere la condizione demenza con dignità, conservando ambiti importanti di affettività e di gratificazione, essenzialmente grazie ad una buona assistenza da parte del caregiver. E’ necessario che quest’ultimo (attraverso una valida rete di sostegno) elabori ciò che sta accadendo; trovi in sé le risorse ed elabori le strategie per mantenere salutari atteggiamenti di protezione …e di autoprotezione.

Superata la fase della diagnosi, tranne che nei casi in cui la demenza sia reversibile (10-15%), inizia un percorso caratterizzato dall’evoluzione della demenza, costellato di problematiche differenti. Ogni storia è diversa dall’altra, nello sviluppo dei sintomi e della loro progressione, nella percezione soggettiva dei sintomi e nella loro gestione familiare. Per questo è fondamentale che la famiglia, che si trova e si troverà sempre più impegnata nell’assistenza, non sia sola ma mantenga rapporti proficui e costanti con il medico di fiducia e con una salda équipe di soggetti competenti.

In una prima fase (quando l’indebolimento cognitivo è lieve o moderato) è molto importante che i familiari conoscano i motivi dei sintomi, affinché i comportamenti del malato (anche strani, sgradevoli, penosi) possano essere compresi nel contesto della malattia, poiché questo è il presupposto essenziale per poter trovare le modalità più idonee per affrontarli. Molte difficoltà possono essere evitate, prevenute o mitigate considerevolmente. È necessario essere consapevoli che l’evoluzione della malattia impone ai familiari un costante adeguamento del proprio atteggiamento e delle proprie aspettative alle mutate condizioni del malato: un riorientamento non facile, che richiede coraggio ma anche sostegno esterno. È altrettanto importante sapere che, malgrado l’evoluzione progressiva della malattia, c’è sempre spazio per fare qualcosa, per operare delle scelte, affinché il malato viva in modo più sereno e relazionale una condizione che tende ad essere estraniante ed emarginante.

Innanzitutto un obiettivo importante è il mantenimento più a lungo possibile del livello di autonomia, compatibilmente con l’avanzamento della malattia.

Specifici interventi riabilitativi, che agiscono favorevolmente per contrastare/mitigare i deficit cognitivi e motori, si dimostrano importanti anche per migliorare il tono dell’umore, le alterazioni del ciclo sonno-veglia (insonnia), le altre turbe comportamentali in grado minare l’equilibrio e la serenità familiare.

In questo senso possono rivelarsi particolarmente indicati gli interventi terapeutici che agiscono sulla motivazione e sulla relazionalità, utilizzando la musica ed altri stimoli espressivi gratificanti; nonché quei setting di gruppo che consentono la partecipazione del caregiver (e che direttamente o indirettamente possono suggerirgli comportamenti e stili esportabili nella quotidianità della vita familiare).

Nella vita quotidiana è bene apprendere/acquisire - attraverso l’informazione/formazione qualificata e il confronto - stili di comportamento adeguati. Se si vuole aiutare il malato è utile favorire un clima sereno e disteso, confortare e riassicurare spesso il paziente con il tono della voce e con il contatto fisico, stimolarlo/accompagnarlo in una moderata attività fisica, se possibile all’aria aperta, e a mantenere alcuni contatti amicali. E’ inoltre essenziale evitare di creare confusione intorno a lui con contesti troppo complessi (rumorosi, sgraditi); non lasciarlo alla televisione; parlargli lentamente, chiedergli una cosa alla volta, non cambiare improvvisamente l’argomento del discorso, non sostituirlo automaticamente quando non trova le parole, ma facilitare comunque la comunicazione dei contenuti, sostenendo affettivamente i tentativi mancati. E’ utile rispondere alle sue domande, anche se sono ripetitive: per il malato è sempre come se fosse la prima volta. Più utile ancora risulta comprendere che la ripetitività è quasi sempre espressione di ansia (un’energia che non riesce a fluire diversamente) e quindi tranquillizzare e provare a distrarre il malato, senza assumere una tonalità adirata o ironica che non sortirebbe un buon effetto.

E’ opportuno ignorare un eventuale linguaggio scurrile, o una falsa accusa, o un altro comportamento sgradevole, che è un’automatica reazione alla frustrazione che sente in quel momento. E’ utile capire che cosa ha creato irritazione o disagio per cercare di eliminare tale elemento, oppure intervenire con una distrazione. Avere a portata di mano un piccolo repertorio (la musica favorita, fogli e colori, una scatola di ritagli, un album di fotografie o di ricordi, della pasta da manipolazione tipo didò…) potrà tornare assai utile, così come proporre la preparazione di un dolce o un'altra attività che risulti gradita.

Piccoli giochi di ripetizione o di ricerca di parole possono rivelarsi un’ottima risorsa riattivante e socializzante (se ben accetti e commisurati alle capacità residue del malato), così come semplici giochi da tavolo o con le carte. E’ importante che le sollecitazioni siano offerte in un clima ludico e sereno, non competitivo o ansiogeno.

La messa a punto di interventi ambientali assume valenza terapeutica fondamentale nelle demenze. Il caregiving presuppone una sorveglianza vigile e attenzioni particolari, specie nella fase intermedia della malattia. L’ambiente può compensare o, al contrario, accentuare le conseguenze del deficit cognitivo, e pertanto condizionare il comportamento del paziente e il suo benessere. L’ambiente vitale può rappresentare per la persona affetta da demenza una risorsa terapeutica, purtroppo spesso sottovalutata, così come il motivo scatenante di alterazioni comportamentali apparentemente ingiustificate. Le scelte degli interventi sono condizionate dalle caratteristiche del paziente e, principalmente, dalla gravità della compromissione cognitiva e dalla natura dei disturbi comportamentali. E’ tuttavia possibile offrire indicazioni di massima.

La casa del malato dovrebbe essere un ambiente sicuro, tranquillo e rassicurante, che possibilmente offra ambienti dedicati (una camera, una poltrona comoda, suppellettili di valore affettivo: una nicchia privilegiata per il riposo, il ritiro, il rimuginare del malato…). Il caregiver avrà cura di mantenere stabile la collocazione dei mobili e degli oggetti, semplificando per quanto possibile gli accessi al bagno e alle altre stanze, assicurando una buona illuminazione, eliminando tutte le fonti di pericolo, facilitando gli spostamenti (eventualmente ricorrendo a segnaletiche o nastri per consentire l’orientamento del malato confuso, nei suoi tragitti dalla camera al bagno; cancelletti o analoghe previdenze per le scale). Potrà essere utile rimuovere/occultare tutti i soprammobili pesanti o preziosi o pericolosi, che possono cadere o andare perduti (come le chiavi): e ancora mascherare/eliminare o mettere in sicurezza oggetti potenzialmente fonte di fenomeni illusori (come specchi, superfici riflettenti, schermi televisivi).

Osservando attentamente il malato nei suoi comportamenti, che tendono ad essere abitudinari, potrà essere più facile individuare le fonti di pericolo ed eliminarle, scongiurando così cadute, fughe, incidenti domestici.

La fase più avanzata della demenza sopraggiunge, talvolta bruscamente, anche dopo molti anni (6 o più) caratterizzandosi per una grave perdita dell’autonomia funzionale: il malato è totalmente dipendente dai familiari che vivono anche la difficoltà di capire i bisogni che il malato non riesce più ad esprimere verbalmente. Questi spesso presenta un calo ponderale evidente, cammina con estrema difficoltà, poi non cammina più, né si mantiene eretto: vive quindi allettato; continuano i movimenti stereotipati delle mani (tipo sfregamento) o altri gesti involontari e afinalistici (il pugno serrato, la suzione).

I malati continuano a percepire la realtà che li circonda, anche se ad un livello più semplice e meno elaborato rispetto alla condizione di normalità. I suoni, il tono della voce, le variazioni della luce e dei colori, il movimento di oggetti, il caldo ed il freddo, gli stimoli tattili, il dolore rappresentano una residua, importante, modalità di relazione con l’ambiente.

In questa fase, l’onere assistenziale cambia: si fa più fisicamente faticoso, ma anche spesso meno lacerante dal punto di vista psicologico; aumenta la necessità di ricorrere ad assistenti specializzati (infermiere, fisioterapista, medici specialisti) e ad ausili tecnici (letto articolato, materasso antidecubito, sollevatore, ecc.).

L’obiettivo può considerarsi quello di consentire il mantenimento del malato presso la sua casa, ove (o finché) questo sia possibile.

Il malato va lavato; alimentato (perché sente meno la fame e la sete, può facilmente soffrire di carenze) con il cucchiaino o il biberon, oppure tramite sondino naso-gastrico o mediante PEG; va girato nel letto per prevenire le piaghe da decubito; va seduto in carrozzina; vanno mobilizzati gli arti per evitare che essi si atteggino in posizioni anomale; diventa completamente incontinente (prima a livello urinario, poi anche fecale) e possono rendersi necessari interventi frequenti per favorire lo svuotamento dell’intestino (ad es. clisteri).

Il malato perde, come si è detto, la capacità di comunicare verbalmente (ripete in modo continuativo un suono, una parola, o un lamento), ma conserva la comunicazione non verbale, cioè quella che passa attraverso la mimica (il sorriso, l’espressione del volto) e la gestualità (la carezza, prendere la mano, il pianto, ecc.). Chi assiste trasmette le proprie emozioni al malato attraverso il canale non verbale, ed in questo caso si può intuire quanto sia importante un uso consapevole della propria espressività per rassicurare e dare gioia al malato.

Bruschi e repentini gesti di opposizione, di aggressività, o stati di agitazione indicano un bisogno non diversamente esprimibile e vanno interpretati come un disagio (sete, fame, bisogno del bagno, di cambiare posizione, caldo o freddo …), oppure come un dolore fisico o emotivo. Il familiare attento diviene un abile interprete di queste modalità di comunicazione non verbale.

La stimolazione tattile (massaggi di sfioramento, frizioni delicate con oli appositi), tenere la mano, cullare il malato, cantare possono costituire forme affettive di cura molto gradite, proseguibili sino alle fasi più avanzate della malattia. Soprattutto per i soggetti gravemente compromessi nella vista, rimangono l’unica modalità di relazione, attraverso cui chi assiste può donare un po’ di benessere al malato, comunicare e ricevere da lui amore.

E’ dimostrato che un programma di educazione - che informa nel tempo, che offre consiglio nelle necessità, che sostiene il fardello del caregiver - consente di migliorare la qualità della vita del malato e l’equilibrio del caregiver e della sua famiglia, ritardando/evitando l’istituzionalizzazione della persona con demenza.

La salute psicofisica del caregiver è il presupposto necessario per un buon lavoro di cura.