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VIVERE CON LA SLA

Link all'Associazione Poiché non esistono ancora cure efficaci per guarire la SLA, l’obiettivo assistenziale è essenzialmente quello di rendere la vita della persona più semplice, più autonoma, più rispondente ai suoi bisogni e ai suoi desideri.

La presa in carico del malato deve avvenire precocemente, addirittura - se possibile - prima della diagnosi che in media viene posta con ragionevole sicurezza solo un anno dopo l’esordio della malattia. Da questo momento in poi l’équipe riabilitativa dovrebbe accompagnare il malato per tutto il decorso della malattia allo scopo di sostenerlo.

Non esiste un programma di trattamento standard: il malato (con il suo familiare/caregiver) deve essere coinvolto fin dall’inizio, e le scelte essere fatte insieme, in prospettiva delle esigenze che via via si presenteranno.

Fin dall’inizio devono essere stabiliti gli ausili necessari, e quindi effettuare le scelte adeguate.

In questa fase critica è essenziale il supporto psicologico.

La SLA modifica profondamente la vita: la persona sente in maniera angosciante che il corpo risponde sempre meno ai suoi bisogni, che non può più muoversi, non può più nutrirsi, non può più parlare, fino a sperimentare la drammatica sensazione di essere imprigionato. Il malato si mantiene quasi sempre lucido e nel pieno delle sue capacità cognitive, può amare e compiere scelte.

Vivere con la SLA è difficile; richiede una grande capacità di accettare il cambiamento, di affrontare giorno per giorno le difficoltà che si incontrano, di guardare con coraggio e fiducia alla possibilità di mantenere uno spazio di autonomia personale anche quando aumenta la dipendenza e il bisogno degli altri.

Ricevere una diagnosi di SLA è un evento traumatico, e comporta un  forte cambiamento nella vita della persona, scatenando una serie di importanti reazioni psicologiche, sia a causa della prognosi fatale di questa malattia, sia per la progressiva perdita della capacità comunicativa e di autonomia complessiva che tendono a seguire. L’impatto emotivo di una diagnosi di tale portata rende necessaria un’attenta strategia di sostegno per far fronte alla situazione ed al suo declinarsi.

La presa in carico delle persone colpite da SLA rappresenta un impegno complesso: già nelle prime fasi della malattia il carico assistenziale familiare è rilevante e ricade soprattutto sul coniuge o su di un altro componente della famiglia. Nelle fasi avanzate, per continuare a vivere, i malati hanno bisogno di apparecchiature complesse, come il ventilatore per la respirazione artificiale, la pompa nutrizionale per l’alimentazione enterale, il computer per la comunicazione, e di cure specialistiche e continuative, che vengono per lo più fornite proprio dai membri della famiglia, istruiti dal personale sanitario sulle strategie e le tecniche di assistenza. L’équipe terapeutica, formata da figure professionalmente chiamate a rispondere ai bisogni di cura del paziente (medico di famiglia, neurologo, neuroriabilitatore, fisiatra, pneumologo, gastrenterologo, foniatra, infermiere, fisioterapista, dietista, terapista occupazionale, psicologo) deve costituire per quanto possibile un interlocutore unitario. Lo scopo è di mantenere più a lungo possibile la vita e di salvaguardare la sua dignità, nella maggiore qualità possibile, di supportare la famiglia nella difficile presa in carico del malato, di farsi portatori delle sue esigenze.

E’ necessario che il malato e la famiglia possano mantenere un rapporto di fiducia, sia reciproca, sia con l’équipe terapeutica, affrontando attraverso il dialogo e la mutua collaborazione  le molte difficoltà del percorso.

Vivere con una persona che soffre di una malattia progressiva e fatale  come la SLA comporta un fardello personale molto arduo (psicologico, sociale, economico) e la salute del caregiver viene messa a dura prova. Nelle fasi avanzate, la SLA provoca nel soggetto la perdita di autonomia richiedendo sempre più ore di assistenza e di sorveglianza con ulteriori costi emotivi ed economici. Gli equilibri personali e relazionali preesistenti sono fortemente provati dal decorso della malattia. La riorganizzazione (di spazi, di tempi e di ruoli) che si rende necessaria, nonché la richiesta crescente di un’assistenza sempre diversa, espone il caregiver, con l’intero sistema familiare a pressioni e contrasti.

Il  burden deve essere amministrato con cura e possibilmente alleggerito e condiviso. Gli studi sul caregiving rilevano che il familiare, sottoposto ad uno stress notevolissimo e prolungato, sviluppa con più alta probabilità, stati pericolosamente elevati d’ansia e rischia di ammalarsi (in primis di depressione). Per questo deve essere aiutato (ascoltato, informato, formato praticamente, sostenuto nel tempo) per il bene proprio e per quello dell’assistito. Vedasi Percorsi formativi.