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ICTUS: DEFINIZIONE

L’ictus rappresenta un evento vascolare a carico del sistema nervoso centrale (SNC). Il termine latino (“colpo”) evidenzia il carattere repentino della comparsa dei sintomi neurologici: le cellule nervose (in primis i neuroni), in condizione di improvvisa carenza di ossigeno e di altre sostanze necessarie per il loro funzionamento, soffrono e muoiono, provocando deficit funzionali più o meno gravi. Poiché i neuroni non si rigenerano facilmente, se il flusso sanguigno non si ristabilisce entro brevissimo tempo, permettendone il recupero, il danno causato dall’ictus è permanente.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce l'Ictus come l'improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit focale e/o globale delle funzioni nervose, di durata superiore alle 24 ore o ad esito infausto, non attribuibile ad altra causa apparente se non a vasculopatia.

Gli ictus sono causati da ischemia (Ictus ischemico) o da emorragia (Ictus emorragico).

L’Ictus ischemico è il più frequente (80% dei casi). In questo caso l’interruzione del flusso sanguigno, dovuta alla chiusura (stenosi) di un'arteria che porta il sangue nel contesto del SNC, produce lesione tissutale (infarto). La chiusura dell’arteria può avvenire a causa di un embolo (un aggregato di materiale che viaggia attraverso il flusso sanguigno fino ad arrivare ad occludere un vaso) o di un trombo (grumo di sangue coagulato che riduce il diametro del vaso). L'ictus è spesso correlato con un’altra malattia, l'aterosclerosi, che consiste nell’accumulo di grassi sulla superficie interna delle pareti delle arterie, sotto forma di placche che impediscono la normale circolazione del sangue; le placche possono distaccarsi dalla parete, causando un trombo.

L’Attacco ischemico transitorio (Transient Ischemic Attack, TIA) è un’ischemia in cui il flusso di sangue è interrotto solo per una breve durata. In questo caso i danni ai neuroni non sono permanenti, ma annunciano la possibile manifestazione di un'ischemia più seria con sintomi non reversibili.

Nel 20% dei casi l’ictus è di tipo emorragico, causato cioè dalla rottura di un'arteria del SNC - solo per un brusco aumento della pressione a livello di un’arteria, o a causa della lacerazione di un aneurisma (cioè di una porzione assottigliata della parete arteriosa malformata); oppure a seguito della ridotta coagulazione del sangue.

L’ictus rappresenta in Italia la principale causa d’invalidità ed è una delle più frequenti cause di morte, collocandosi al terzo posto, nei Paesi sviluppati, dopo l'infarto miocardico e le neoplasie. In Italia sono più di 700.000 le persone affette da vasculopatie del SNC. Ogni anno ci sono circa 200.000 nuovi casi di ictus: nell’80% sono primi episodi, mentre nel 20% sono recidive. A seguito dell’ictus, circa il 20% delle persone muore nel primo mese, mentre il circa 30% sopravvive con esiti gravemente invalidanti.

La frequenza dell’ictus aumenta progressivamente con l’età, raggiungendo il valore massimo negli ultra ottantacinquenni: il 75% degli ictus colpisce i soggetti di oltre 65 anni. Il tasso di prevalenza di ictus nella popolazione anziana (età 65-84 anni) italiana è pari al 6,5%, ed è leggermente più alto negli uomini (7,4%) rispetto alle donne (5,9%).

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L’ictus colpisce, sia pure in misura minore, anche persone giovani (si stima che ogni anno il numero di persone in età lavorativa colpite da ictus sia intorno a 27.000).

Relativamente alla specifica situazione italiana, i cambiamenti della struttura demografica fanno prevedere un aumento di nuovi casi di ictus in parallelo con l’aumento delle fasce più anziane della popolazione e la contestuale riduzione nelle fasce inferiori ai 55 anni.

Oltre all’età, molti altri fattori aumentano il rischio di ictus: alcuni non sono modificabili, su altri invece si può intervenire praticando stili di vita più sani (evitando fumo, vita sedentaria, stress, obesità, adottando un adeguato regime alimentare con meno grassi, alcool e sale) ed intervenendo, se opportuno, con farmaci. Anche l'uso di contraccettivi orali (soprattutto quelli ad alto contenuto di estrogeni) può costituire un fattore di rischio.