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VIVERE CON L'EPILESSIA

aice epilessiaPoiché l'Epilessia non è né una malattia mentale ma una sindrome patologica costituita dal ricorrere di crisi epilettiche, chi ne è soggetto pur potendo condurre una vita pressoché normale, si trova di fronte a vari problemi psico-sociali che possono causargli stati ansioso-depressivi.

La persona deve innanzitutto accettare questa malattia misteriosa che, al di fuori delle crisi, può essere compatibile con un completo benessere fisico.

La prognosi è generalmente buona se il paziente è ben seguito dallo specialista e si attiene scrupolosamente alle prescrizioni mediche. In alcuni casi la cura farmacologica deve essere continuata per tutta la vita, mentre altre volte può essere sospesa.

Per la scelta della terapia antiepilettica è importante la valutazione degli effetti collaterali, in quanto questi possono incidere sulla percezione della propria qualità di vita da parte del paziente più della comparsa delle crisi stesse.

Le complicazioni dirette determinate dall’epilessia sono dovute a possibili conseguenze delle crisi:

- la complicazione più frequente è la morsicatura della lingua durante la convulsione generalizzata;

- la caduta a terra può provocare trauma cranico;

- può essere inalato materiale gastrico nei polmoni, con broncopolmonite secondaria.

- Il paziente, durante il coma postcritico, può respirare male ed avere arresto cardiaco.

Le sofferenze di chi è affetto da questa malattia, spesso derivano più dal pregiudizio nei confronti della malattia e del malato che dagli aspetti medici.

Per molti secoli l'epilessia è stata tenuta nascosta in quanto le crisi epilettiche venivano associate ad interventi magici e demoniaci poiché inspiegabili con le leggi della medicina allora conosciute.

Si dice che fossero affetti da questa patologia grandi personaggi della storia come Alessandro Magno, Giovanna D'Arco e Napoleone. Ne soffrivano certamente Dostoevskij, Flaubert, Paganini e Van Gogh e quindi si può affermare con autorevolezza che l'epilessia non lede né le capacità intellettive dell'individuo, né il rendimento, la qualità o il successo nella vita pratica, quotidiana, professionale e affettiva.

Questa malattia neurologica sembrerebbe tuttavia interferire con il regolare sviluppo psico-sociale del bambino. I bambini con epilessia, infatti, ritengono di avere scarso controllo sul proprio comportamento. Le caratteristiche di imprevedibilità e incontrollabilità dell’epilessia esporrebbero il soggetto in età evolutiva ad un senso di ineluttabilità, di inadeguatezza con conseguente sviluppo di scarsa autostima, isolamento sociale e problemi di comportamento. L’epilessia, pertanto, potrebbe ostacolare il processo che nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza porta ad una graduale assunzione di senso di  responsabilità e di coinvolgimento personale rispetto alla  causazione degli eventi positivi e negativi della vita, favorendo nei soggetti atteggiamenti estremisti di tipo fatalistico o rinunciatario.

In definitiva, questa malattia potrebbe influenzare negativamente quello che lo studioso J. Rotter nel 1966 descrisse come il costrutto psicologico del Locus of Control (LOC) consistente nella convinzione da parte dei soggetti di sentirsi protagonisti degli eventi della propria vita (Internal Locus of Control) e non in balìa di forze incontrollabili come il fato, la fortuna o persone più potenti (External Locus of Control).

In generale, i soggetti che presentano un LOC tendenzialmente interno avrebbero una migliore capacità di adattamento alla malattia e anche un eventuale trattamento risulterebbe maggiormente efficace proprio per il senso di responsabilità e per il coinvolgimento del soggetto nel controllo della malattia. Soggetti con un LOC tendenzialmente esterno, invece, dimostrerebbero un minore adattamento alla malattia, un conseguente rifiuto della stessa e il loro atteggiamento rinunciatario e fatalista non favorirebbe un’adesione efficace a terapie o cure che devono essere seguite con  costanza. L’epilessia rientrerebbe, quindi, tra le malattie che tenderebbero a indurre un LOC maggiormente esterno inducendo chi ne è affetto ad indugiare in atteggiamenti fatalistici e rinunciatari.

Circondata da un contesto con queste caratteristiche anche la famiglia rischia di sviluppare uno stile parentale che fatica a promuove nel figlio atteggiamenti di autonomia. I rischi maggiori sono legati al fatto di mettere in atto stili iperprotettivi con forti limitazioni dell'autonomia, oppure fondati su pretese eccessive e svalutazione delle prestazioni scolastiche o, infine,  caratterizzati da stati di tensione e conflitto proiettati sul figlio con ambigua colpevolizzazione di questo. In questa situazione, la famiglia può favorire  nel figlio atteggiamenti fatalistici o rinunciatari.

Come in tutte le patologie croniche, l'elemento più importante sta quindi nell'atteggiamento di chi circonda la persona epilettica, per la quale, il  problema più grosso, è quello di rivelare agli altri la propria condizione.

Nonostante la persona che soffre di epilessia abbia la possibilità nella maggior parte dei casi di condurre una vita normale, il contesto sociale in cui egli vive e si confronta non è scevro da pregiudizi sulla malattia e sul malato.

Nelle forme abituali, l'epilessia non porta alcuna menomazione nell'ambito della vita quotidiana  e pertanto un epilettico deve soltanto evitare di fare lavori che potrebbero risultare pericolosi per sé e per gli altri. Se la patologia è  tenuta sotto controllo medico da almeno tre anni, l'epilettico può fare praticamente tutto, tranne il pilota di aerei, il militare ed il conducente di mezzi pesanti.

Nel caso l'epilettico sia un bambino, occorre mettere al corrente gli insegnanti, i quali dovranno essere educati sulle misure di sicurezza e di comportamento da adottare nel caso si scateni la crisi.

Gli epilettici possono praticare in sicurezza tutte le attività sportive, eccetto il nuoto, lo sci, il free climbing e in generale tutte quelle attività durante il cui svolgimento un attacco epilettico potrebbe comportare una situazione di pericolo.