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VITA CON IL PARKINSON

La Malattia di Parkinson, come si è visto, può essere oggi ben gestita, grazie ad un combinato intervento farmacologico e riabilitativo. Tuttavia la vita della persona malata muta, anche considerevolmente, a seguito dell’evolversi della malattia. Alcune attività non saranno più possibili, mentre altre continueranno ad essere praticabili con successo: le risorse residue potranno divenire il motore per fare cose nuove, per curare maggiormente il proprio stato di salute generale, la propria alimentazione, le relazioni affettive; per dedicarsi, magari in compagnia di un familiare/amico, ad attività perattivanti/riabilitanti che risultino anche di per sé gradevoli/appassionanti.

Per fare solo alcuni esempi, se si rende utile un’attività fisica specifica, è possibile (come si è visto) scegliere una delle tante che siano confacenti ai propri gusti (dallo yoga al Tai-chi, dal Pilates ad un’attività fisica adattata); se è opportuna un’attività socializzante che migliori le capacità comunicative (a rischio oppure parzialmente compromesse), vi sono opportunità variegate (dai laboratori creativi ed artistici, ai corsi di teatroterapia, alla biodanza, alla musicoterapia). Poiché le attività dovrebbero essere proseguite con costanza è importante scegliere (o preferire) percorsi flessibili studiati per adattarsi e modularsi nel tempo ad una condizione variabile di fragilità (o di deficit funzionale), che propongano stimoli diversificati e combinate modalità comunicative, e che richiedano una partecipazione in grado di attivare in toto i potenziali espressivi.

Il caregiver può giocare un ruolo straordinario nel sostegno del malato: non solo nella gestione dei farmaci, nel favorire i trasferimenti, nella relazione con i medici/terapeuti, nell’assistenza che si renda necessaria, ma anche nella salvaguardia dell’autonomia residua, nel supporto psicologico e motivazionale, nel favorire il mantenimento del peso ideale, nella gestione dei sintomi meno graditi al malato.

E’ il caregiver che può aiutare il malato a ripensare la casa, allo scopo di consentirgli maggiore praticità ed autonomia: sistemare i mobili così da non creare inutile intralcio/pericolo; disporre gli oggetti essenziali in modo che siano più accessibili; scegliere/acquistare ausili e ortesi (che si rendano opportuni per semplificare la vita quotidiana), abiti facili da indossare, prodotti commerciali semplici da usare; eliminare le cose superflue che ricordino/rimarchino i deficit, creando inutile ansia/tristezza.

Un’importanza notevole riveste l’atteggiamento del caregiver di fronte ai comportamenti del malato (la lentezza dei gesti, i tempi dilatati, le tante possibili defaillance): la qualità di vita non è una questione di prestazione e le modalità di ognuno possono integrarsi con una buona qualità di vita a patto che siano coscientemente accettate, possibilmente con un pizzico di fantasia, di leggerezza e di ironia. Fare “in sostituzione del malato” solo perché “così si fa prima” rinforza, gradualmente, nella persona malata, l’idea che lui stia diventando inutile ed incapace: attendere, invece, che egli possa fare da solo risulta una silenziosa ma assai eloquente dimostrazione di fiducia, di considerazione, di affetto. Anche per questi motivi la vita quotidiana deve essere semplificata al massimo, per lasciare spazi di qualità e di mutua gratificazione.

Per il caregiver, come per il malato, è impegnativo il percorso da fare per accogliere e gestire nel tempo (un tempo come si è detto molto ampio) la situazione di mutamento. Potrà essere utile cercare sin da subito un appoggio: centri specializzati ed associazioni di volontariato offrono informazione, formazione e sostegno alle famiglie impegnate nell’assistenza.